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Morbo di Crohn: la diagnosi

Come si diagnostica la malattia di Crohn?

La diagnosi della malattia di Crohn (non morbo di Crohn, termine desueto e con un connotato negativo) comincia con l’ascoltare il paziente. Si parte dai sintomi raccontati dal paziente, che comprendono dolore addominale (spesso nella regione inferiore destra dell’addome), alterazioni dell’alvo (spesso con aumento del numero delle evacuazioni e diminuzione della consistenza delle feci) ed eventualmente sintomi associati quali gonfiore e dolore nella regione anale, febbre, vomito. È importante sottolineare che molti di questi sintomi, se di breve durata, possono essere presenti in un episodio infettivo gastroenterico acuto e, se cronici (cioè se durano per mesi consecutivi) possono andare in diagnosi differenziale con patologie di tipo funzionale, quali la sindrome dell’intestino irritabile.

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Per quanto riguarda i sintomi, è importante ascoltare dal paziente se sono presenti anche sintomi di carattere infiammatorio che interessano altri organi o apparati, quali dolore, gonfiore o rigidità alle articolazioni, manifestazioni cutanee con lesioni di tipo doloroso ed eritematoso, ad esempio, agli arti inferiori o altre. È importante partire con una storia approfondita del paziente, considerando, in particolare, se i suoi genitori o altri parenti di sangue siano affetti da malattie intestinali e l’eventuale utilizzo di farmaci da parte del paziente. Sappiamo, ad esempio, che l’utilizzo dei farmaci antinfiammatori può causare un’esacerbazione della malattia.

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Quali sono gli esami del sangue per la malattia di Crohn?

Una volta ascoltati i sintomi del paziente, se questi sono compatibili con una malattia cronica come la malattia di Crohn, il passo successivo è effettuare degli esami del sangue, che vadano alla ricerca di infiammazione e di malassorbimento. Inoltre è importante cercare con tali esami altre possibili spiegazioni dei sintomi del paziente.

Gli esami più importanti richiesti sono i globuli bianchi, la proteina C reattiva e la VES che, se elevati, possono essere un segno di infiammazione. Tuttavia essi possono essere elevati anche in caso di infezione. Dall’emocromo si vede anche se è presente anemia (emoglobina bassa) e carenze di micronutrienti che possono spiegarla. Si chiede, infatti, il valore del ferro, della ferritina (depositi di ferro), dell’acido folico e della vitamina B12. Per quanto riguarda gli esami che chiedo per ricercare altre cause dei sintomi del paziente, si chiede il TSH (per valutare la funzionalità della tiroide), gli esami atti a ricercare la celiachia e gli esami delle feci, utili a cercare cause infettive dei sintomi (coprocoltura, parassitologico).

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A cosa serve l’esame della calprotectina?

La calprotectina fecale è un esame molto utile, introdotto all’incirca all’inizio degli anni 2000. Esso correla con la presenza di infiammazione a livello intestinale. È elevata in caso di presenza di malattie infiammatorie croniche intestinali (tra le quali, appunto, la malattia di Crohn), in caso di gastroenterite acuta infettiva e in caso di diverticolite.

Va notato, tuttavia, che, come qualsiasi altro esame, il risultato dell’esame della calprotectina non è sempre affidabile e la diagnosi finale è sempre come un puzzle costituito da diversi tasselli. È importante stabilire valori soglia adeguati: 100 µg/g sono un valore che aiuta a distinguere pazienti con disturbi funzionali (come la sindrome dell’intestino irritabile) da pazienti con infiammazione (che può essere, però, acuta o cronica).

Bisogna inoltre ricordare che ci sono alcuni fattori che influenzano il valore della calprotectina: l’utilizzo di farmaci antinfiammatori, causando infiammazione intestinale, causa l’aumento della calprotectina, così come i suoi valori possono essere elevati in situazioni fisiologiche come nei bambini nei primi anni di vita.

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Cosa si vede dall’ecografia delle anse intestinali?

L’ecografia delle anse intestinali è un altro esame molto utile della malattia di Crohn. Questo perché consente di studiare l’intestino tenue, che è quel tratto di intestino difficilmente raggiungibile con gli esami endoscopici, poiché situato dopo lo stomaco e prima del colon. Inoltre, grazie al fatto che non è per nulla invasivo, è molto gradito dai pazienti. Nonostante l’Italia sia uno degli Stati al mondo in cui l’ecografia delle anse intestinali è più utilizzata, un aspetto importante da considerare è che essa deve essere effettuata da operatori esperti nell’eseguirla.

L’ecografia delle anse intestinali è utile in tutti pazienti con una sintomatologia compatibile con malattia di Crohn, al fine di aiutare la diagnosi e, in caso di malattia presente, darci dati importanti riguardo l’estensione della malattia e l’importanza del coinvolgimento nei tratti interessati da parte della malattia. L’ecografia delle anse intestinali è utile anche durate il follow-up della malattia, poiché ci aiuta a capire se essa sta rispondendo o meno alla terapia impostata. Infine, è utile nel caso si sospetti una complicanza, come un ascesso addominale, poiché è in grado di diagnosticarla in maniera semplice e veloce.

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A cosa serve la colonscopia?

La colonscopia rimane l’esame più importante per la diagnosi della malattia di Crohn. Essa si effettua previa preparazione intestinale, che consiste nel bere dai due ai quattro litri di lassativo (spesso con un gusto non gradito dal paziente) in maniera tale da pulire il colon. L’esame si effettua con uno strumento flessibile che, passando dall’ano, studia tutto il colon e gli ultimi centimetri di intestino tenue (cioè dell’ileo). Tale esame è, in genere, fastidioso o doloroso per il paziente, il quale non gradisce effettuarlo. Nel caso in cui sia impossibile portarlo a termine a causa del dolore, può essere considerata l’opportunità di riprogrammarlo da addormentato (in narcosi).

La colonscopia è un esame fondamentale e, attualmente, insostituibile, perché permette di diagnosticare un’infiammazione (che può sempre essere acuta o cronica), di effettuare delle biopsie che aiutino in fase di diagnosi e, in caso di presenza di polipi o di restringimenti, effettuare delle manovre operative.

Bisogna sottolineare che neanche la colonscopia è in genere in grado di dare una diagnosi definitiva ad un primo riscontro di infiammazione. Sarà necessaria una seconda colonscopia tra i 6 e i 12 mesi dalla diagnosi per confermare la cronicità (e fare diagnosi definitiva di malattia di Crohn). Negli anni tale esame dovrà essere ripetuto con regolarità (in genere ogni uno-cinque anni) per valutare la risposta della malattia alle terapie intraprese e per diagnosticare precocemente eventuali lesioni tumorali.

Prof. Davide Giuseppe Ribaldone
Prof. Davide Giuseppe Ribaldone
Professore Associato di Gastroenterologia presso il Dipartimento di Scienze Mediche – Università degli Studi di Torino - Azienda Ospedaliera Università Città della Salute e della Scienza di Torino

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