giovedì, Novembre 21, 2024
HomeProbioticiDisbiosi intestinale: cos'è?

Disbiosi intestinale: cos’è?

L’intestino ospita il più grande ecosistema microbico del corpo umano, composto da batteri, archei ed eucarioti che, quando sono in equilibrio, vivono in simbiosi con l’organismo. I microbi, infatti, traggono i nutrienti necessari alla loro sopravvivenza dal loro ospite, svolgendo, allo stesso tempo, delle funzioni fondamentali per la salute dell’individuo. Tuttavia il microbiota intestinale è una biomassa dinamica, esposta alle perturbazioni dell’ambiente in cui è immerso l’individuo che lo ospita. Fattori come la dieta, lo stile di vita o l’uso di farmaci possono infatti influenzarne l’equilibrio. Talvolta essi possono causare disbiosi intestinale, una condizione caratterizzata da “una comunità microbica intestinale squilibrata, con cambiamenti quantitativi e qualitativi nella composizione del microbiota stesso, delle sue attività metaboliche o nella distribuzione locale dei suoi membri”[1].

Forme di disbiosi intestinale

Generalmente negli studi sul microbiota intestinale si è soliti confrontare il microbiota di soggetti sani, senza segni evidenti di malattia, con quello di soggetti malati. Ciò ha permesso di comprendere, seppur solo a grandi linee, qual’è la struttura di un microbiota sano e quali sono i microbi benefici o dannosi per l’organismo. In questa prospettiva la disbiosi intestinale può assumere forme diverse (si veda fig. 1). Essa, infatti, può essere dovuta a[2]:

  • perdita di organismi microbici benefici;
  • espansione di patogeni o microrganismi potenzialmente dannosi;
  • perdita della diversità microbica complessiva.
Fig.1 – Tipi di disbiosi intestinale – Fonte: Defining dysbiosis and its influence on host immunity and disease

I tre tipi di disbiosi non si escludono a vicenda, ma possono verificarsi contemporaneamente. Un microbiota disbiotico, infatti, può presentare una ridotta diversità microbica, in cui la perdita di microbi benefici favorisce l’espansione di patogeni.

Perdita di organismi microbici benefici

Una delle caratteristiche principali della disbiosi è la perdita di alcuni dei benefici apportati dai ‘microbi buoni’ dell’intestino. Il microbiota, infatti, svolge funzioni fondamentali per la salute dell’individuo. Alcuni microrganismi, ad esempio, proteggono l’ospite dall’attacco dei patogeni. Altri, invece, contribuiscono alla maturazione e allo sviluppo di una risposta immunitaria appropriata. La perdita di questi microrganismi può quindi esporre l’ospite all’azione dei patogeni o attivare una risposta infiammatoria impropria, in cui il sistema immunitario attacca i tessuti sani dell’organismo o tutti i microrganismi indistintamente, inclusi quelli benefici. Tali effetti, inoltre, possono essere alla base delle sviluppo di diverse patologie. La perdita di microrganismi benefici, infatti, è risultata associata a diversi disturbi come, ad esempio, le malattie infiammatorie intestinali (IBD), la calcolosi renale, l’obesità e l’infezione da Clostridium difficile[3].

Espansione di patogeni

Il microbiota intestinale ospita anche microrganismi patogeni, che possono causare danni all’organismo. Generalmente nei soggetti sani essi sono presenti in basse concentrazioni, tali da non causare alcun disturbo evidente. Tuttavia la loro crescita può causare problemi, con conseguenze anche di tipo patologico.

Uno dei casi più frequenti di disbiosi intestinale da espansione di patogeni è quello dovuto alla crescita dei Proteobacteria, che comprendono un’ampia gamma di agenti patogeni come, ad esempio, Escherichia coli, Salmonella typhi, Vibrio cholerae, Helicobacter pylori e molti altri. Questi microbi sono in grado di provocare infiammazione di basso grado, colite, oltre a contribuire allo sviluppo di diverse patologie.

L’espansione di microrganismi patogeni può inoltre essere favorita dalla perdita di microrganismi benefici dovuta, ad esempio, all’assunzione degli antibiotici. Ne è un’esempio la temibile infezione da Clostridium difficile, causa di una forma severa di diarrea, che nel paziente anziano può essere fatale. In questo caso l’assunzione di antibiotici può causare la perdita di batteri benefici, che solitamente limitano la crescita di C. diffcile. La loro perdita può quindi favorire la crescita incontrollata del patogeno che, a basse concentrazioni, non è in grado di provocare sintomi.

L’azione battericida degli antibiotici può inoltre favorire anche la crescita di Candida albicans, un fungo presente fisiologicamente nelle mucose, ma la cui sovracrescita può portare a diversi disturbi, come la nota forma di candidosi. È interessante notare, inoltre, che in uno studio la crescita di C. Albicans, conseguente l’uso degli antibiotici, ha causato un aumento di un mediatore dell’infiammazione, la prostaglandina E2 (PGE2), che ha reso gli animali oggetto dello studio maggiormente suscettibili allo sviluppo di allergie[4]. Ciò mostra ancora una volta come la disbiosi intestinale possa avere conseguenze extra-intestinali sulla salute dell’individuo.

Infine va notato che alcune patologie come il cancro del colon-retto, il disturbo dello spettro autistico, le malattie del fegato e il morbo di Parkinson sono state associate all’espansione di patogeni[3].

Perdita della diversità microbica

Il microbiota intestinale è composto da moltissimi organismi, che svolgono svariate funzioni per l’organismo ospite. Alcune di queste possono essere eseguite da più microrganismi; altre, invece, possono essere svolte solo da alcuni membri del microbiota[5]. Ciò suggerisce come un microbiota sano, in grado di svolgere tutte le sue funzioni, non possa essere formato da un numero limitato di specie microbiche, ma debba invece avere un’ampia diversità microbica. Diversi studi, infatti, hanno mostrato come una ridotta diversità microbica intestinale si associ a svariate patologie.

Disbiosi intestinale: le conseguenze

Generalmente nella percezione comune la disbiosi intestinale è un disturbo che si associa a fastidi gastrointestinali, come il gonfiore, la flatulenza e la diarrea e, eventualmente, a malessere generale. Tuttavia, come si è già accennato, sempre più studi stanno rivelando segni di disbiosi in molte patologie, intestinali ed extra-intestinali. Le alterazioni del microbiota, infatti, possono rendere eccessivamente permeabili le pareti dell’intestino, favorendo la traslocazione di patogeni, tossine e antigeni alimentari nel circolo sanguigno. Ciò attiva la risposta infiammatoria del sistema immunitario che, se persiste, può portare allo sviluppo di patologie in soggetti predisposti.

In particolare forme di disbiosi intestinale, tra le quali la perdita di diversità microbica è la più frequente, sono emerse nelle seguenti patologie[678]:

  • malattia di Crohn;
  • colite ulcerosa;
  • sindrome dell’intestino irritabile;
  • malattia celiaca;
  • tumori gastrointestinali;
  • infezione ricorrente da Clostridium difficile;
  • enterocolite necrotizzante;
  • malattia del trapianto contro l’ospite;
  • dibete di tipo I ;
  • allergie;
  • obesità, sindrome metabolica e diabete di tipo II;
  • malattie epatiche;
  • distrubi cardiovascolari;
  • malattie pancreatiche;
  • malattie autoimmuni;
  • malattie neurologiche (Parkinson, Alzheimer, Sclerosi multipla);
  • malattie psichiatriche (ansia, depressione, schizofrenia, autismo..);
  • malattie ginecologiche e urologiche;
  • malattie nefrologiche.

Disbiosi intestinale e patologie: causa o conseguenza?

Generalmente la relazione tra disbiosi intestinale e patologie è solo correlazionale. Gli studi rivelano cioè che forme di disbiosi sono associate ad alcune malattie ma, similmente al paradosso dell’uovo e della gallina, non si è in grado di stabilire quale venga per prima. Non è chiaro quindi se la disbiosi sia causa della patologia o, altrettanto plausibilmente, se essa ne sia una conseguenza.

La questione rimane aperta. Tuttavia, recentemente, alcuni studi hanno fornito delle prove convincenti circa l’impatto causale della disbiosi sullo sviluppo della malattia. Si tratta di studi di laboratorio che utilizzano topi germ-free, totalmente sterili e privi di microbiota. L’utilizzo di questi animali consente quindi di valutare in modo chiaro quale sia l’effetto dei “microbi” sull’organismo. Nei topi germ-free, infatti, viene trapiantato il microbiota di pazienti affetti da una particolare malattia e si osserva se l’animale la sviluppa.

Sorprendentemente questi studi hanno rivelato come il trapianto di microbiota da soggetti malati porti allo sviluppo della patologia del donatore nell’animale germ-free. Il trapianto di microbiota da soggetti obesi, ad esempio, causa nei topi un aumento di peso, sebbene il loro apporto calorico rimanga invariato[9]. In un altro studio il trasferimento del microbiota di persone autistiche porta negli animali allo sviluppo di tratti autistici, come i comportamenti stereotipati e l’isolamento sociale[10]. Altre ricerche hanno restituito risultati simili per diverse altre patologie come la malattia di Parkinson, la depressione o la colite. Il microbiota intestinale può quindi contribuire allo sviluppo di svariate patologie e, allo stesso tempo, offrire, nel futuro prossimo, una grande opportunità terapeutica.

Bibliografia
Prof. Enrico Ricci
Prof. Enrico Ricci
Responsabile Gastroenterologia e endoscopia digestiva Ospedali privati – Forlì - già Primario della Gastroenterologia ed Endoscopia digestiva presso gli ospedali di Forlì e Cesena - già Presidente nazionale della Società Italiana di Endoscopia digestiva (SIED).

La nostra Community

2,352FansMi piace

Iscriviti alla Newsletter

ultimissime