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La terapia dell’acalasia

L’acalasia esofagea è un disturbo caratterizzato dall’ostruzione del deflusso gastro-esofageo, che non deriva da anomalie strutturali, ma da un’alterata motilità esofagea. Nei pazienti acalasici, infatti, si osserva un alterato rilassamento dello sfintere esofageo inferiore (o lower esophageal sphincter – LES), con contrazioni assenti o spastiche del corpo dell’esofago[1]. L’anomala motilità esofagea dell’acalasia è una condizione irreversibile, da cui non si guarisce. La sua cura è quindi incentrata nel ridurre l’ostruzione del deflusso esofageo, in modo da migliorarne i sintomi e ridurre il rischio di una evoluzione della malattia verso il suo stadio più avanzato. Le terapie dell’acalasia ad oggi disponibili possono essere di tipo medico o endoscopico/chirurgico. Ciascuna ha vantaggi e svantaggi specifici.

Acalasia: terapia medica

Farmaci

I farmaci utilizzati per l’acalasia sono:

  • i calcioantagonisti;
  • i nitrati;
  • gli anticolinergici;
  • gli inibitori della fosfodiesterasi.

Questi farmaci hanno mostrato di ridurre la pressione del LES, alleviando temporaneamente la disfagia tipica dell’acalasia. Tuttavia essi non migliorano la peristalsi esofagea e il rilassamento del LES. I loro effetti collaterali, come ad esempio l’ipotensione e il mal di testa, ne limitano inoltre l’uso continuativo. I farmaci dovrebbero quindi essere utilizzati solo nei casi in cui il paziente non sia candidabile alla terapia chirurgica o qualora la rifiuti[2].

Iniezione di botulino

Un’altra opzione terapeutica per il trattamento medico dell’acalasia è l’iniezione di tossina botulinica nel LES. Essa, infatti, altera il rilascio di acetilcolina, inibendo la contrazione dello sfintere esofageo e riducendone così la pressione. L’iniezione di botulino può quindi migliorare i sintomi dell’acalasia. Essa è risultata efficace nel 77% dei pazienti in un follow-up a 6 mesi[3].Tuttavia il suo effetto è di breve durata, circa 6-9 mesi, dopo i quali è necessario ripetere il trattamento. Gli effetti collaterali più comuni sono il dolore toracico, il bruciore e la perforazione esofagea (rarissima) dovuta all’iniezione. Essi sono però rari.

L’iniezione di botulino può quindi essere un’opzione a breve termine, utile per ridurre i sintomi, in attesa di un intervento più invasivo e duraturo. Essa può inoltre essere consigliata a quei pazienti che vi rispondono e che non possono sottoporsi a procedure più invasive.

Acalasia: terapia endoscopica e chirurgica

Dilatazione pneumatica

La dilatazione pneumatica (PD) è una procedura endoscopica, che prevede l’introduzione di un palloncino rigido centrato sul LES, che ne dilata la muscolatura, sfiancandola, e riducendo così l’ostruzione del deflusso esofageo (si veda fig. 1). Questa procedura è risultata efficace nell’83% dei pazienti in un follow-up a 3 mesi[3]. La complicanza più comune della dilatazione pneumatica è la malattia da reflusso gastroesofageo, dovuta alla dilatazione del LES. Essa è però abbastanza rara, interessando solo il 9% dei pazienti.

Fig. 1 – Le fasi dell’intervento di dilatazione pneumatica – Fonte: adattato da: Boeckxstaens GE et al..Achalasia, Lancet. 2014 Jan 4;383(9911):83-93.

La dilatazione pneumatica è utile in particolare nei pazienti con acalasia di tipo 2, ma anche in quelli con acalasia di tipo 1. Essa, inoltre, è particolarmente utile nei soggetti che presentano sintomi ricorrenti dopo essersi sottoposti a una delle altre procedure invasive[2].

Miotomia endoscopica transorale (POEM)

La miotomia endoscopica perorale (POEM) è una procedura eseguita endoscopicamente, senza alcuna incisione esterna, che prevede la dissezione delle fibre muscolari responsabili dell’ostruzione del deflusso esofageo. L’intervento mira quindi a interrompere l’attivazione di quella parte di muscolatura dell’esofago, causa dell’alterata motilità esofagea. Essa può interessare segmenti esofagei di lunghezza variabile. Generalmente nell’acalasia di tipo III la miotomia avviene su porzioni di esofago più lunghe, interessate da eventuali contrazioni spastiche pan-esofagee. Nell’acalasia di tipo 1 e 2 può invece essere sufficiente una miotomia più corta, tesa a ridurre soltanto il tono del LES.

La POEM ha mostrato di ridurre significativamente la pressione del LES, con un conseguente miglioramento della disfagia. Essa risulta efficace nella maggior parte dei pazienti (82-98%[4]), con un’ampia riduzione dei sintomi, che sembra essere duratura. Essa, inoltre, ha mostrato di essere particolarmente efficace nei pazienti con acalasia di tipo III, che solitamente rispondo meno alle altre procedure. Tuttavia la POEM può causare reflusso gastroesfoageo in una quota significativa di pazienti (21-47%[3]). L’intervento di miotomia endoscopica deve quindi essere attentamente valutato nei pazienti giovani, a causa del rischio cronico di reflusso e delle sue possibili complicanze patologiche (stenosi, esofago di Barrett, cancro gastrico).

Miotomia laparoscopica di Heller

La miotomia laparoscopica di Heller è un intervento chirurgico eseguito in laparoscopia (con minime incisioni), che prevede la dissezione sottomucosa delle fibre muscolari nell’area della giunzione gastroesofagea (si veda fig. 2). L’interruzione delle fibre longitudinali e circolari di quest’area permette infatti di ridurre l’ostruzione del deflusso esofageo. In particolare l’intervento ha un’elevata efficacia, con un miglioramento dei punteggi attinenti i sintomi e la soddisfazione dei pazienti maggiore del 90% [5]. In particolare, la miotomia di Heller è preferita nell’acalasia di tipo I, sebbene essa abbia mostrato risultati di efficacia simili alla POEM e alla distensione pneumatica anche nell’acalasia di tipo II.

Fig. 2 – La miotomia laparoscopica di Heller – Fonte: Boeckxstaens GE et al..Achalasia, Lancet. 2014 Jan 4;383(9911):83-93.

Va notato, inoltre, che durante la miotomia di Heller spesso si esegue anche un intervento di fundoplicatio parziale, per ridurre il rischio di reflusso gastroesofageo derivante dalla miotomia. Tuttavia, se questo accorgimento sembra essere utile a ridurre il reflusso nel breve termine, non ci sono vantaggi significativi per reflusso e disfagia a lungo termine. L’intervento di fundoplicatio che viene eseguito, infatti, è solo parziale.

Esofagectomia

Non sempre la terapia chirurgica riesce ad arrestare la progressione dell’acalasia. Circa il 5% dei pazienti, infatti, ne sviluppa la forma più avanzata, in cui l’esofago assume una forma particolarmente dilatata e tortuosa, che aggrava la malattia, favorendo l’ostruzione esofagea. I pazienti possono avere seri problemi di malnutrizione, complicanze polmonari da aspirazione e forme di esofagite severa. In questi casi, dopo aver tentato tutte le altre procedure invasive, può essere indicata un’esofagectomia, cioè l’intervento di asportazione dell’esofago, ormai privo della sua fisiologica funzione. Nei soggetti non idonei all’esofagectomia può invece essere utilizzata l’alimentazione enterale, che consente di nutrire il paziente senza far passare il cibo dall’esofago.

Terapia dell’acalasia: le prospettive future

Attualmente gli interventi per l’acalasia rappresentano il gold standard per il suo trattamento. Essi, infatti, migliorano i sintomi dell’acalasia nella maggior parte dei pazienti, tendono a stabilizzarla e consentono di avere una buona qualità di vita. Tuttavia essi non agiscono sulle cause della malattia, ma solo sulle sue conseguenze. Gli interventi, infatti, si “limitano” a distruggere le fibre muscolari responsabili dell’ostruzione esofagea, ma non riescono a correggere i meccanismi fisiopatologici dell’acalasia. Un avanzamento significativo della sua cura potrebbe quindi derivare dall’individuazione di nuove terapie, in grado di agire sulle cause della malattia.

Una dell’ipotesi più supportate dall’evidenza è che l’acalasia sia dovuta ad una reazione autoimmune. Un nuovo approccio terapeutico potrebbe quindi prevedere l‘uso di farmaci immunomodulatori nella fase precoce della malattia[6], quando ancora la riserva di neuroni mioenterici non è stata compromessa dall’attacco immunitario. Vale la pena notare, a tal riguardo, che in letteratura sono riportati tre casi clinici di acalasia in cui l’uso di cortisonici, da soli o in combinazione con altre terapie immunosoppressive, ha mostrato un notevole miglioramento del quadro clinico, con il recupero completo della peristalsi esofagea confermato dall’esame manometrico[78910]. Tuttavia l’evidenza è limitata. Sono quindi necessari ulteriori studi che chiariscano se, come e quando gli immunomodulatori possono essere utili per l’acalasia.

Un altro possibile approccio terapeutico è il trapianto di cellule staminali neurali. Recentemente i ricercatori hanno infatti mostrato come le cellule staminali possano essere isolate e coltivate dalle biopsie della mucosa. Sembrerebbe, inoltre, che esse siano in grado di attecchire, migrare e differenziarsi con successo in neuroni enterici e glia all’interno dell’intestino[11]. Il trapianto di cellule staminali potrebbe quindi permettere di ripristinare le strutture (neuroni e gangli) del plesso mioenterico, consentendo il recupero della funzionalità esofagea. Si tratta, tuttavia, di un’opzione terapeutica che deve ancora essere adeguatamente approfondita.

Infine l’uso della terapia antivirale potrebbe rappresentare un’ulteriore opzione terapeutica nei pazienti con acalasia di recente insorgenza[12]. S’ipotizza, infatti, che la reazione autoimmune alla base dell’acalasia possa essere attivata da un’infezione virale. La somministrazione di antivirali potrebbe quindi eliminare il fattore d’innesco della risposta immunitaria. Anche in questo caso, però, l’evidenza è solo preliminare. Inoltre potrebbe essere difficile individuare i casi d’acalasia di recente insorgenza, considerata la frequente tardività con la quale essa viene diagnosticata.

Bibliografia

Photo credits: Freepik

Prof. Edoardo V. Savarino
Prof. Edoardo V. Savarino
Professore Associato di Gastroenterologia presso il Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Oncologiche e Gastroenterologiche - DiSCOG Università degli Studi di Padova - Azienda Ospedaliera Università di Padova

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